Around the world trip without flights was completed March 18, 2013. But many new travel projects came and will come. Books, photos and videos of a free life dedicated to the knowledge of the amazing World where we are living.

venerdì 26 ottobre 2012

Nelle estreme terre della Patagonia cilena / In deepest chilean Patagonia


Un’ altra straordinaria avventura di montagna in questo meraviglioso mondo, stavolta tocca allo scenario delle estreme terre australi della Patagonia cilena, parco nazionale Torres del Paine. L’inizio è stato disastroso, non potevo ricevere accoglienza peggiore dalle condizioni atmosferiche. Ieri ha piovuto a dirotto tutto il giorno e il  vento gelido soffiava prepotente fino a fondo vallata. Scendo dal mezzo senza parole e sinceramente senza neanche una particolare organizzazione. So solo che voglio vedere le impetuose montagne della regione a forma di torre. Così, dopo essermi impossessato di una mappa, ho intrapreso la mia camminata solitaria nella scura valle tra nuvoloni grigi, una fitta pioggia e la parte visibile delle montagne innevate come sfondo. Devo subito rimediare ai jeans che indosso con dei leggeri pantaloni sintetici impermeabili. Nei pressi della partenza noto un hotel abbastanza lussuoso, entro e domando se posso cambiarmi velocemente i pantaloni perché sono già bagnato fradicio. Alla reception mi rispondo che i servizi sono solo per chi alloggia nel hotel e di cercare un camping situato a qualche chilometro da li. Davanti ad una risposta del genere, mi volto ed esco fermandomi davanti all’entrata principale poi mi spoglio davanti agli occhi attoniti dei clienti - pallido, barbuto e magro non devo essere stato uno spettacolo. Riprendo il cammino con dei vestiti più adeguati ma con un peso consistente dovuto alla tenda, il sacco a pelo, un materassino, dei vestiti pesanti  e cibo per due giorni. La prima parte attraversa un torrente a fondo valle e risale dalla base di una montagna (video1). In due ore affronto un dislivello di quattrocento metri circa travolto da pioggia e vento che mettono a dura prova la mia determinazione. Fortunatamente trovo un accogliente rifugio che è l’accampamento cileno. Per via delle avverse condizioni atmosferiche decido che per oggi è meglio fermarsi così monto velocemente la tenda sotto alcuni alberi notando di essere l’unico che ha optato per questo tipo di sistemazione e torno ad asciugare i vestiti davanti alla stufa del rifugio in cui conosco altri simpatici  e malcapitati escursionisti di varie nazionalità che alloggiano nelle camerate in attesa che il tempo cambi.

Decido di andare a dormire sul presto per alzarmi nella notte e provare in ogni caso a raggiungere le torri del Paine. Quando arrivo alla gelida tenda, che ho affittato all’ostello di Puerto Natales, ricevo una brutta sorpresa, il fondo è completamente bagnato e l’umidità è insopportabile con temperature sotto gli zero gradi. Ma in fondo amo le esperienze estreme e spesso le cerco proprio perché mi temperano l’anima e mi aiutano ad apprezzare di più le comodità quotidiane di cui godo. Fortunatamente il lettino mi crea una protezione dal fondo e ci distengo sopra il mio sacco a pelo termico, adatto a temperature fino a gli zero gradi. Entusiasta di essere immerso nella forza della natura selvaggia, ma impegnato a non patire il freddo, mi addormento ascoltando il rumore del torrente nelle vicinanze e della pioggia cadente sulla tenda. Varie volte mi sveglio per via dell’umidità che ha ricoperto la superficie del sacco congelandolo al solo tatto. I ricordi mi riportano indietro di quasi sette anni quando vivevo in Pakistan e per due mesi ho dormito in una tenda singola nelle complesse condizioni atmosferiche dell’inverno della montuosa regione del Kashmir. Con pioggia o neve mi rifugiavo dentro un resistente sacco a pelo per temperature sotto  i  meno venti gradi.

Alle quattro del mattino il freddo ha raggiunto livelli estremi e comunque è l’ora ideale per provare a raggiungere le montagne interessate. Non sento più la pioggia, esco e trovo l’ennesima sorpresa, una fitta nevica ha imbiancato la mia tenda e tutta la valle attorno. Mi rendo subito conto che sia pericoloso avventurarmi solo nell’oscuro della notte con il sentiero ricoperto da neve fresca e non visibile. Ma anche stavolta decido di andare, sento quell’energia che mia attrae verso questo incantevole e selvaggio bosco innevato. Non trovo l’inizio del sentiero così ricordando una mappa dall’altra parte del torrente decido di attraversarlo su un lungo e scivoloso ponte di legno che in un tratto non ha barriere. Lo percorro lentamente e attento a non cadere, attorno a me è tutto estremamente buio così mi aiuto con la torcia ben fissata sulla testa. Trovo la mappa che mi indica verso la direzione opposta così attraverso nuovamente il ponte e inizio a camminare cercando dei paletti fissati sul sentiero. Dopo poco ecco che il karma si ricorda di me ed incontro una coppia di ragazzi austriaci che hanno avuto la mia stessa idea così mi aggrego a loro. Si attraversano boschi primitivi e selvaggi con vari tronchi spezzati a terra che aiutano a immaginare la Terra come era una volta. I ruscelli si susseguono in vari punti, così altri scivolosi ponticelli di legno da attraversare e la difficoltà di trovare il sentiero per la neve fresca rallentano la nostra escursione, ma lo scenario completamente innevato è straordinario. Con le prime luci dell’alba ci rendiamo conto di essere in un paradiso e la fitta nevicata passa in secondo piano anzi diventa particolarmente piacevole perché è proprio lei che ha creato questa favola. Gli alberi, la valle e le montagne attorno sono incantevoli, raramente ho visto qualcosa del genere e sono al settimo cielo. Più si sale e più è alta le neve fresca che mi trovo a camminare con le mie comode e fedeli scarpe da ginnastica in goretex con la neve fino alle ginocchia scivolando sulle  rocce umide. Poi ecco la formidabile ciliegina sulla torta a premiare la tenacia che ci ha accompagnati in questa esperienza, la luce del sole che cerca di dissolvere le nubi per illuminare il nostro cammino. Con tutto quello che ho passato ieri ed essermi svegliato con una fitta nevicata non credo ai miei occhi, mi commuovo perché sto vivendo un’altra meravigliosa emozione in 380 giorni da mozzafiato. Le montagne rimangono coperte dai nuvoloni ma proseguiamo la salita con qualche dolorosa caduta sulle ginocchia e le neve sempre più alta. Infine eccoci arrivati davanti al lago e le torri del Paine, il sole cerca di placare la bufera (video2) e dopo una mezzoretta di attesa e speranza ci riesce regalandoci la vista delle vette. Urliamo dalla gioia, l’entusiasmo è davvero immenso.

Al ritorno mi attende una lunga camminata di sei ore con continue variazioni delle condizioni atmosferiche ma con dei panorami stupendi, volando sulle ali dell’euforia ascolto Eddie Vedder e a tratti mi fermo per respirare a fondo quella sana aria della Patagonia cilena. A fondo valle, dove la vegetazione ritrova il suo verde naturale, incontro vari esemplari di volatili della regione oltre ad un gruppo di lama liberi nel parco. Osservo un incantevole lago color celeste pallido e lo sfondo sempre bianco dei monti. Dopo tutto quello che ho visto in questo anno trovo la stessa grande capacità di emozionarmi davanti alla bellezza semplice della natura e degli animali come se fosse la prima volta, felice perche’ non esiste nulla di peggio di un essere umano che non è in grado di provare emozioni vitali. 

Another extraordinary mountain adventure in this wonderful world, this time in Torres del Paine national park in the extreme south of Chilean Patagonia. The start was disastrous: the weather couldn’t have been worse, it was bucketing down all day and a freezing wind blew hard all the way down the valley. When I got out of the vehicle, I was speechless and, to tell the truth, not particularly organised either – all I knew was that my aim was to see the lofty tower-shaped mountains of the region. So, new map in hand, I set off alone in the dark valley among grey clouds and sheeting rain, against a backdrop of the visible parts of the snow-covered mountains. But the first thing to do was to change my jeans and put on some light synthetic waterproof trousers. Near where I was setting off from stood a fairly luxurious hotel. I went in and asked the receptionist if I could quickly change my trousers as they were soaked through. ‘The services are for guests only’ was the reply, with the added information that I should try a campsite some kilometres further down the road. After an answer like that, I simply turned and went out of the main entrance, where I stopped and stripped off in full view of the shocked clients. Pale, thin and bearded, I can’t have been a pleasant sight. I set off walking again in more suitable clothes but also with a heavy burden: a tent, sleeping bag, mattress, warm clothing and food for two days. The first part crossed a torrent at the bottom of the valley (video1), then in two hours I went up around 400 metres, with the wind and rain severely testing my determination. Luckily I came across the welcome refuge, the Chilean camp. The weather was so bad that I decided enough was enough for one day and quickly pitched my tent under some trees, noting that no one else had chosen to be ‘under canvas’. Then off to the refuge to dry out my clothes by the stove, together with other unlucky but friendly excursionists of all nationalities who were staying in the dormitories and waiting for the weather to change for the better.

I decided to turn in early and then get up in the night and try to reach the Towers of Paine, but when I got to my tent, rented from the hostel in Puerto Natales, I had a nasty surprise: the groundsheet was sodden and the air unbearably damp in the sub-zero temperatures. But then, basically, I like extreme experiences and, indeed, often go looking for them – they temper my spirit and make me better appreciate the daily comforts I enjoy. Luckily, the mattress gives some protection from the ground and I lie on it in my thermal sleeping bag, which is made for temperatures down to zero. Feeling enthusiastic about being surrounded by nature in the wild and trying hard not to feel the cold, I fall asleep to the sound of the rushing of the nearby torrent and the rain falling on the tent. More than once I was woken by the damp covering the sleeping bag, freezing it, and my memories took me back almost seven years to when I lived in Pakistan and for two months in winter slept in a one-man tent in the mountains of the Kashmir region. When it rained or snowed I snuggled up in my well-made sleeping bag at temperatures lower than minus twenty.

At four in the morning it was extremely cold but the ideal time to set off to reach those mountains. I could no longer hear any rain, but on leaving the tent I saw why: thick snow lay over the tent and the surrounding valley. It was immediately clear that venturing out on my own in the dark on a snow-covered invisible trail would be dangerous, but I decided to go anyway, a feeling of energy taking me towards the charming wild woods dressed in white. I could not find the beginning of the trail, then remembered there was a map on the other side of the torrent and decided to cross  it. This meant taking the wooden bridge, which was long and slippery, and without any rails at a certain part. Going slowly and careful not to fall, using a torch fixed to my head to make my way in the pitch dark, I crossed and found the map, pointing in the direction I had just come from. So I had to cross back and started walking, looking for the trail markers. Not long after, Karma remembered me and I met and joined up with a couple of young Austrians who had had the same idea as me. The trail took us through wild, primitive woods where broken tree stumps sticking out of the ground made us think of how the Earth may once have looked. There were a series of torrents to cross over slippery wooden bridges, whilst the fresh snow slowed down our progress and made it difficult to keep on trail, but the snow-covered scenery was extraordinary. In the light of dawn we realised we were in a paradise and the heavy snow changed from being a problem to a pleasure – after all, it was the snow that had created this wonder. The trees, valley and mountains around us were enchanting; I had rarely seen the like before and was in high spirits. The higher we went, the deeper the snow: my faithful, comfortable Goretex shoes disappeared as I went up to my knees in snow, slipping on wet rocks. Then came what made it all worthwhile: sunlight breaking through the mists to light our way. After all the problems yesterday and after waking up to a heavy snowfall, I could now hardly believe my eyes, I felt yet another wonderful feeling after 380 breathtaking days. The mountains were covered in clouds, but we carried on, sometimes falling painfully on our knees in the ever-deeper snow. At last we came to the lake and the Towers of Paine, with the sun trying to dispel the bad weather (video2) and, after half an hour, succeeding, regaling us with a view of the peaks. We shouted with joy, our enthusiasm was so great.

The way back was a six-hour walk in continuously changing weather, but the views were stupendous and on the wings of euphoria I listened to Eddie Vedder, and at times stopped to fill my lungs with the clean air of Chilean Patagonia. Down in the valley where the vegetation became a natural green again, we saw various local birds, a herd of llamas in the park, a beautiful pale blue lake and the ever-white mountains in the background. After all I have seen in the past year, the simple beauty of nature and animals can still touch me deeply as if it were the first time and I am happy, because there is nothing worse than someone who cannot experience such vital feelings.
video 1:

video 2 :




mercoledì 17 ottobre 2012

L'isola di Chiloè, Patagonia cilena / Chiloè island, chilenian Patagonia


Di primo mattino mi alzo e, cercando di non far rumore, provo ad uscire dall’ostello. La stanza di Marcelo, il simpatico proprietario punk sulla quarantina d’anni con cresta e orecchini, è aperta e lo si sente a russare di gran gusto. In questi giorni sta lavorando molto perché riceve gli ospiti del salone del libro cittadino. Soffia un venticello gelido a quest’ora ma il sole già si fa spazio prepotente tra le grigie nuvole. Le strade sono ancora deserte e si sente solo il verso di strani uccelli locali, nascosti tra gli alberi, che fanno lo stesso chiassoso suono delle papere. Arrivo alla stazione e salgo sul prima pullman diretto verso il lago di Cucao e l’ingresso al parco nazionale.
Da pochi giorni è iniziata la mia esperienza nella Patagonia cilena. Mi trovo sull’isola di Chiloè in esplorazione tra i suoi silenziosi villaggi di pescatori e la sua lussureggiante vegetazione. Il clima e il paesaggio sono cambiati radicalmente da quelli incontrati negli ultimi mesi di viaggio. Siamo in primavera e i fiori gialli si confondono con le varie sfumature di verde, ma nonostante ciò quando il cielo si ingrigisce la natura appare inquieta come il cupo blu dell’agitato oceano pacifico. Al parco nazionale ho occasione di tornare a passeggiare in un bosco dopo le calde foreste dell’amazzonia e le aride montagne andine. L’umidità caratteristica di questa isola ha permesso alla crescita di alcuni tipi di piante in particolare e, mentre mi godo il silenzio di una passeggiata meditativa, rimango deluso a scoprire che in un ora ho già percorso tutta la superficie disponibile del parco - pazienza nelle prossime tappe patagoniche ne avrò da camminare. Trovo una strada che porta alla spiaggia, il cielo continua ad alternare uno splendente sole con dei nuvoloni inquieti. Incontro alcune vacche e dei cavalli, dalla vegetazione si passa alla sabbia. Una lunga distesa di conchiglie, simili a cozze bianche, si estende lungo la riva. La brezza marina soffia decisa e fresca come le spiagge inglesi. Il mare è mosso e spietato, la corrente antartica di Humbodt lo rende ancora più ostile. Gruppi di gabbiani svolazzano sfruttando la direzione del vento e sono completamente solo in una lunga spiaggia deserta - intensa sensazione di libertà !

Al ritorno cammino lungo la strada che attraversa il tranquillissimo villaggio di pescatori di Cucao, fiancheggiando un lago e ammirando le caratteristiche costruzioni in legno. Osservo lunghe distese di verdi prati con allevamenti di pecore. Non si vede l’ombra di un mezzo cosi mi posiziono nei pressi dell’incrocio principale e dopo un quarto d’ora vengo caricato da un allevatore che tornava a casa dopo aver riempito il suo furgone di legna. Mi scarica ad una trentina di chilometri da Cucao, sul bordo di una strada sulla quale trovo un pullman che mi trasporta sulla piccola isola di Achao. Su consiglio di un cileno conosciuto a Valparaiso inizio a camminare per le sue pacifiche e semideserte vie incontrando un supermercato dove comprare del pane, un avocado, dei cipollotti e formaggio per andare in spiaggia a prepararmi un bel pranzetto. Trovo riparo dal vento in un portico di legno che inizia una passerella sulla sabbia. Osservo un gruppo di cani randagi, i pescherecci che tornano in porto e alcune coppie di innamorati che passeggiano sulla riva. Proseguo la mia passeggiata lungo mare incontrando  tre uomini sulla cinquantina in brutto stato e completamente ubriachi. Cercano di dialogare con me  e mi invitano a bere il loro vino. Rifiuto il vino ma prendo una birra dal mio zaino così posso brindare alla loro salute. Sono troppo sbronzi e se speravo di rimediare due chiacchiere mi devo arrendere e salutarli. Raggiungo la piazza principale dove mi tengono compagnia solo altri cani randagi, noto l’ affascinante chiesa di legno, entro e la osservo stupito. Una signora cilena, divertita dalla mia curiosità, mi chiede se mi piace. Le rispondo positivamente sottolineando che mai ne avevo vista una così grande tutta di legno – e in questo ultimo anno ne ho viste parecchie.

Trovo un altro pullman e ritorno verso Castro, il capoluogo di regione dove mi sono sistemato in un alternativo ostello culturale e artistico. Mentre passeggio nell’ultimo isolato incontro un signore con una bancarella sulla quale vende una pianta erbacea commestibile, tipica di questa zona e appartenente alla famiglia delle gunneracee, che si chiama nalca. La assaggio ed ha un gusto leggermente amaro come l’aceto ma lo trovo gradevole. Vedo Marcello davanti all’ingresso, mi saluta stanco ma mi propone di bere una bottiglia di buon vino rosso con lui e poi di andare alla fiera del libro ad ascoltare la presentazione di un libro di una sua amica sociologa che racconta le problematiche legate alla violenza femminile presente sull’isola. Verrò a sapere che l’isola di Chiloè presenta il più alto tasso di violenza sulle donne in tutto il paese, soprattutto nelle aree rurali dove il maschilismo tipico del paese, e del continente,  si manifesta nelle forme più aggressive. Realtà che purtroppo non mi stupisce su una cupa e remota isola patagonica.

I got up early and, without making any noise, tried to leave the hostel. The door to Marcelo’s room was open and the loud snoring of this likeable punk owner of around forty with spiked hair and earrings could be heard. In the past few days he had been working hard, hosting guests of the local book fair. A freezing wind was blowing at this time of day, but the sun was already forcing its way through the grey clouds. The streets were still empty, and the only sounds - like noisy ducks - came from strange local birds hidden in the trees. Once at the station I got on the first bus going to Lake Cucao and the entrance to the national park.
My travels in Chilean Patagonia began only a few days ago, and now, here I was on Chiloé Island, exploring silent fishing villages and luxuriant vegetation. The climate and landscape were radically different from those of the past few months. Here it was spring and yellow flowers blended in with the various shades of green, but despite this, when the sky turned grey, nature seemed as troubled as the gloomy blue of the choppy Pacific. Here in the national park, after hot Amazonian forests and arid Andean mountains, I could once again walk in a wood. The typical rainy weather on the island means that certain plants flourish, and although I was enjoying the silence of a meditative walk, it was a bit disappointing to find that in an hour I had gone over the entire park... too bad, but there would be plenty of walking in the next stages of my stay in Patagonia. I found a road leading to the beach, under a sky that alternated between bright sunlight and huge worrying clouds, and came across some cows and horses before the vegetation turned to sand. A line of seashells similar to white mussels stretched out along the shore; a stiff cool sea breeze blew, like on English beaches; flocks of seagulls wheeled and turned on the wind, and I was completely alone on a long deserted beach: an intense feeling of freedom!

On the way back I took the road that went through the peaceful fishing village of Cucao and flanked a lake. I admired the typical wooden houses and saw long stretches of green fields with their sheep farms. There was no sign of any vehicle, so I took up a position near the main junction and waited. After a quarter of an hour, I got a lift from a farmer on his way home after loading his van with wood. He dropped me off at the roadside thirty kilometres further on, from where I took a bus to the islet of Achao. There, as suggested to me by a Chilean I had met in Valparaiso, I went on foot through the peaceful, semi-deserted streets. At a supermarket I bought lunch to take to the beach: bread, an avocado, spring onions and cheese. Refuge from the wind was in a wooden hut at the start of a wooden pathway to the beach. From here I could see packs of stray dogs, fishing boats coming back into harbour and lovers strolling on the shore. Further on, I came across three fifty-year olds who were in a sorry state and completely drunk. They wanted to strike up a conversation and offered me wine. I turned down the offer, but took a beer out of my rucsac so that I could toast them. If I had expected a conversation, I was mistaken: they were too drunk for that, so I gave up and said goodbye. In the main square of the village, with only more stray dogs for company, I saw a fascinating wooden church. Inside, it was amazing, and when a Chilean woman, amused by my interest, asked whether I liked it, I could only say yes, that I had not seen such a large church made all of wood before – and in the past year I had seen several.

Another busride took me back towards Castro, the chief town of the region, and my accommodation in the ‘alternative’ cultural and artistic hostel. On the last block on the way there, a street vendor was selling nalca: edible flowering plants, typical of the region, belonging to the Gunneraceae family. I tried it – the taste was a little sour, like vinegar, but otherwise pleasant. At the entrance to the hostel stood Marcelo, who gave me a tired greeting then suggested we first sink a bottle of good red wine, then go to the book fair. There we would hear the presentation of a book by a sociologist lady friend of his on the problems relating to violence against women on the island. It turns out that Chiloé Island has the highest level of violence against women in the entire country, especially in rural areas, where the typical male chauvinism of the country, and the continent, takes the most aggressive forms. A fact which on a remote and gloomy Patagonian island does not surprise me.

sabato 6 ottobre 2012

05/10/2012 In bici nel deserto più arido del mondo / On a bicycle in the most arid desert in the world


In pochi giorni ho attraversato vari paesaggi straordinari mai visti in una vita intera. Dalla salina di Uyuni a San Pedro de Atacama si trovano colorate lagune, immensi vulcani, fumanti geyser, alberi di pietra e aridi deserti. Oggi mi trovo nel deserto più secco del mondo, con una piovosità media di 0,08 mm annui il deserto di Atacama presenta paesaggi lunari che sono stati utilizzati per esperimenti simili alle missioni su Marte, dei veicoli spaziali Viking 1 e 2, per individuare forme di vita senza successo. A quanto pare prima del 1971 potrebbe non avere mai avuto nessuna significante caduta di pioggia per ben quattrocento anni. La corrente di Humboldt, una fredda corrente marina che scorre sulle coste pacifiche di Perù e Cile, raffredda l’aria rendendo quasi impossibile la formazione di nuvole.

Poco dopo pranzo sono partito in direzione Valle della Luna con la bici accompagnato da Sophie, una viaggiatrice francese che sta percorrendo in solitaria il Sud America per 7 mesi e si è aggregata a me all’ arrivo a San Pedro de Atacama. Su una strada ben asfaltata abbiamo percorso i primi chilometri fino all’ ingresso della valle godendo di panorami desertici impressionanti appena usciti dal centro abitato di San Pedro. Le temperature massime si avvicinano ai trenta gradi ma l’assenza di umidità rende l’impatto meno pesante. La strada diventa sterrata, a volte sabbiosa o seminata di buche. La prima tappa è una caverna che si sviluppa nei pressi di un canyon. Sophie , quando si accorge che la grotta si abbassa notevolmente costringendoci a camminare piegati sulle ginocchia, decide di tornare indietro perché non se la sente di proseguire con la sola luce del cellulare. Io continuo e mi godo il silenzio e la pace nel pieno dell’oscurità. Un centinaio di metri ed ecco una crepa attraverso la quale trovo un uscita, mi arrampico sulle rocce e torno indietro.
Montiamo in bici e si attraversano nuovi paesaggi tra cui dune o montagne di sale createsi con l’accumulo di sabbia, argilla e sale per essere successivamente modellate dall’ azione del vento. Dopo oltre una decina di chilometri arriviamo a fine percorso dove si trovano “ I Guardiani delle Tre Marie” , si tratta di formazioni rocciose, composte da ghiaia, argilla, sale e quarzo, che hanno circa un milione di anni e, subendo un intenso processo di erosione, sembrano alberi di pietra. Avventurandosi fuori dal tragitto, su una strada particolarmente difficoltosa da percorrere in bici per via dello spigoloso terreno arido, si raggiunge una profonda miniera di enormi cristalli di sale generati dall’ alta pressione e l’ambiente senza umidità. All’ improvviso camminando su una superficie delicata si aprono delle crepe sotto ai miei piedi, spaventato saltello sulle punte allontanandomi prima possibile da quel fragile terreno.
Al ritorno decidiamo di fermarci nel punto panoramico per osservare il tramonto, purtroppo arrivano alcuni pullman di scuole cilene in gita e i ragazzi rumorosi si sistemano su un’affascinante duna. Siamo costretti a camminare lungo una parte delle montagne di sale per trovare un luogo silenzioso e godere di uno straordinario spettacolo a 360 gradi con le Ande e i suoi rossicci vulcani da una parte e la cordigliera della costa dall’ altra. Con il calare del sole le rocce cambiano colore e la luce intensa di questo deserto regala particolari sensazioni. I pensieri volano all’ ormai imminente traguardo del mio primo anno di viaggio consecutivo e quasi mi commuovo. Poi di fretta a pedalare lungo la strada del ritorno con una forte escursione termica e senza illuminazione ma, come sempre, accompagnato da un travolgente entusiasmo dopo una trentina di chilometri nel deserto più arido del mondo.

In a few days I have crossed various extraordinary landscapes unlike anything I have seen before. Between the salt flats of Uyuni and the town of San Pedro de Atacama there are coloured lagoons, immense volcanoes, smoking geysers, stone trees and arid deserts. Today I am in the Atacama, the driest desert in the world with its average annual rainfall of 0.08 mm and lunar landscape. Indeed, experiments have been carried out here similar to those undertaken by the Viking 1 and 2 probes on Mars in their vain search for life there. It also seems that before 1971, there may have been no significant rainfall in the Atacama for four hundred years, thanks to the Humboldt Current, a cold ocean current which flows along the coasts of Peru and Chile, cooling the air and making rainfall unlikely.

Soon after lunch, I got on my bicycle and set off for Moon Valley. Accompanying me was Sophie, a French  traveller on a seven-month solo trip around South America who had joined me on my arrival in San Pedro. For the first few kilometres after the town, as far as the entrance to the valley, the road was good and we enjoyed the impressive desert panoramas. The temperature was around 30 degrees but the air was dry and so it was bearable.  Then the road became unsurfaced, with patches of sand or potholes. Our first stop was near a canyon where there was a cave. We went in, but the roof got lower and lower, forcing us to crouch to move ahead. Sophie soon turned back, not keen on the idea of carrying on only with the light from her mobile phone, but I went on in the silence and peace of the dark. After a hundred or so metres, there was a cleft big enough for me to climb up out onto some rocks and then back to the bikes.
Back on our bikes, we rode through new landscapes of dunes or salt mountains of accumulated sand, clay and salt which had then been modelled by the wind. Another ten kilometres or more and we reached our destination: the Three Maries. These are rock formations of gravel, clay, salt and quartz around a million years old and which have been given the form of stone trees by intense erosion. Off the beaten track, on dry ground which made progress particularly difficult, we reached a deep mine of giant salt crystals formed by high pressure and the dry environment. While I was walking on this delicate surface, all of a sudden cracks appeared beneath my feet, frightening me into tiptoeing off such fragile terrain as fast as possible.
On the way back we stopped off at a viewpoint to watch the sunset. It was our bad luck that a few busloads of boisterous young Chileans on a school trip also turned up, commandeering a great viewpoint and forcing us to look elsewhere for a quiet place. Further along the mountain of salt we found one with a spectacular 360-degree view, with the Andes and their reddish volcanoes on one side and the coastal mountain range on the other.  The rocks change colour in the setting sun while the intense desert light draws out particular sensations, and it was almost moving to think that soon I would have been on the road for a whole year. We then rode back quickly and although we were without lights and the evening air was by now much cooler, I was full of enthusiasm after this thirty-kilometre trip in the most arid desert in the world.

Pagellino temporaneo Bolivia /Temporary report Bolivia


Nuova puntata con il pagellino temporaneo sulle nazioni che ho visitato. Per chi non lo conoscesse ancora nasce dall’idea di giudicare l’esperienza di viaggio in ogni paese che incontrerò lungo il cammino. Riguarda solo la mia esperienza personale quindi ognuno può avere dei giudizi diversi dai miei . In questo caso è temporaneo perché quando realizzerò il libro potrà essere modificato sulla base dell’esperienza in più che avrò accumulato strada facendo. Darò un voto a quattro punti che interessano principalmente la popolazione locale: viaggiare con i trasporti pubblici assieme ai locali comprendendo anche la situazione delle strade, sulla cucina locale (varietà e qualità), sull’ospitalità da parte della gente con gli stranieri e infine sul costo della vita per uno straniero cercando di vivere comunque economicamente.

-          Trasporti pubblici                               :   6
-          Cucina locale                                      :   6
-          Ospitalità della gente                          :   8,5
-          Costo della vita per uno straniero        :   9

-          Media Bolivia                                       :    7,375


New instalment with my temporary report on the countries I visit. As I already blogged, I have decided to rate - give a mark for - my travel experiences in every country I visit. It will be based on personal experience, so feel free to disagree. The ratings below are temporary and may well be changed in the light of later experiences. I give a rating out of ten to four areas which mainly concern the local people: travelling with them on public transport, taking into account the road conditions; the local food (variety and quality); their friendliness and hospitality towards foreigners; the cost of living for a foreigner on a budget.

-          Public transport                                   :  6
-          Local food                                            :   6
-          Friendliness and hospitality                :   8,5
-          Cost of living for a foreigner              :   9

-          Average for Bolivia                            :  7,375