Di primo mattino mi alzo e, cercando di non far rumore,
provo ad uscire dall’ostello. La stanza di Marcelo, il simpatico proprietario
punk sulla quarantina d’anni con cresta e orecchini, è aperta e lo si sente a
russare di gran gusto. In questi giorni sta lavorando molto perché riceve gli
ospiti del salone del libro cittadino. Soffia un venticello gelido a quest’ora
ma il sole già si fa spazio prepotente tra le grigie nuvole. Le strade sono
ancora deserte e si sente solo il verso di strani uccelli locali, nascosti tra
gli alberi, che fanno lo stesso chiassoso suono delle papere. Arrivo alla
stazione e salgo sul prima pullman diretto verso il lago di Cucao e l’ingresso
al parco nazionale.
Da pochi giorni è iniziata la mia esperienza nella Patagonia
cilena. Mi trovo sull’isola di Chiloè in esplorazione tra i suoi silenziosi
villaggi di pescatori e la sua lussureggiante vegetazione. Il clima e il
paesaggio sono cambiati radicalmente da quelli incontrati negli ultimi mesi di
viaggio. Siamo in primavera e i fiori gialli si confondono con le varie
sfumature di verde, ma nonostante ciò quando il cielo si ingrigisce la natura
appare inquieta come il cupo blu dell’agitato oceano pacifico. Al parco
nazionale ho occasione di tornare a passeggiare in un bosco dopo le calde
foreste dell’amazzonia e le aride montagne andine. L’umidità caratteristica di
questa isola ha permesso alla crescita di alcuni tipi di piante in particolare
e, mentre mi godo il silenzio di una passeggiata meditativa, rimango deluso a
scoprire che in un ora ho già percorso tutta la superficie disponibile del
parco - pazienza nelle prossime tappe patagoniche ne avrò da camminare. Trovo
una strada che porta alla spiaggia, il cielo continua ad alternare uno
splendente sole con dei nuvoloni inquieti. Incontro alcune vacche e dei
cavalli, dalla vegetazione si passa alla sabbia. Una lunga distesa di
conchiglie, simili a cozze bianche, si estende lungo la riva. La brezza marina
soffia decisa e fresca come le spiagge inglesi. Il mare è mosso e spietato, la
corrente antartica di Humbodt lo rende ancora più ostile. Gruppi di gabbiani
svolazzano sfruttando la direzione del vento e sono completamente solo in una
lunga spiaggia deserta - intensa sensazione di libertà !
Al ritorno cammino lungo la strada che attraversa il
tranquillissimo villaggio di pescatori di Cucao, fiancheggiando un lago e
ammirando le caratteristiche costruzioni in legno. Osservo lunghe distese di
verdi prati con allevamenti di pecore. Non si vede l’ombra di un mezzo cosi mi
posiziono nei pressi dell’incrocio principale e dopo un quarto d’ora vengo
caricato da un allevatore che tornava a casa dopo aver riempito il suo furgone
di legna. Mi scarica ad una trentina di chilometri da Cucao, sul bordo di una
strada sulla quale trovo un pullman che mi trasporta sulla piccola isola di
Achao. Su consiglio di un cileno conosciuto a Valparaiso inizio a camminare per
le sue pacifiche e semideserte vie incontrando un supermercato dove comprare
del pane, un avocado, dei cipollotti e formaggio per andare in spiaggia a
prepararmi un bel pranzetto. Trovo riparo dal vento in un portico di legno che
inizia una passerella sulla sabbia. Osservo un gruppo di cani randagi, i pescherecci
che tornano in porto e alcune coppie di innamorati che passeggiano sulla riva.
Proseguo la mia passeggiata lungo mare incontrando tre uomini sulla cinquantina in brutto stato
e completamente ubriachi. Cercano di dialogare con me e mi invitano a bere il loro vino. Rifiuto il
vino ma prendo una birra dal mio zaino così posso brindare alla loro salute.
Sono troppo sbronzi e se speravo di rimediare due chiacchiere mi devo arrendere
e salutarli. Raggiungo la piazza principale dove mi tengono compagnia solo
altri cani randagi, noto l’ affascinante chiesa di legno, entro e la osservo
stupito. Una signora cilena, divertita dalla mia curiosità, mi chiede se mi
piace. Le rispondo positivamente sottolineando che mai ne avevo vista una così
grande tutta di legno – e in questo ultimo anno ne ho viste parecchie.
Trovo un altro pullman e ritorno verso Castro, il capoluogo
di regione dove mi sono sistemato in un alternativo ostello culturale e
artistico. Mentre passeggio nell’ultimo isolato incontro un signore con una
bancarella sulla quale vende una pianta erbacea commestibile, tipica di questa
zona e appartenente alla famiglia delle gunneracee, che si chiama nalca. La
assaggio ed ha un gusto leggermente amaro come l’aceto ma lo trovo gradevole.
Vedo Marcello davanti all’ingresso, mi saluta stanco ma mi propone di bere una
bottiglia di buon vino rosso con lui e poi di andare alla fiera del libro ad
ascoltare la presentazione di un libro di una sua amica sociologa che racconta
le problematiche legate alla violenza femminile presente sull’isola. Verrò a
sapere che l’isola di Chiloè presenta il più alto tasso di violenza sulle donne
in tutto il paese, soprattutto nelle aree rurali dove il maschilismo tipico del
paese, e del continente, si manifesta
nelle forme più aggressive. Realtà che purtroppo non mi stupisce su una cupa e
remota isola patagonica.
I got up early and, without making any noise, tried to
leave the hostel. The door to Marcelo’s room was open and the loud snoring of
this likeable punk owner of around forty with spiked hair and earrings could be
heard. In the past few days he had been working hard, hosting guests of the
local book fair. A freezing wind was blowing at this time of day, but the sun
was already forcing its way through the grey clouds. The streets were still
empty, and the only sounds - like noisy ducks - came from strange local birds
hidden in the trees. Once at the station I got on the first bus going to Lake
Cucao and the entrance to the national park.
My travels in Chilean Patagonia began only a few days
ago, and now, here I was on Chiloé Island, exploring silent fishing villages
and luxuriant vegetation. The climate and landscape were radically different
from those of the past few months. Here it was spring and yellow flowers
blended in with the various shades of green, but despite this, when the sky
turned grey, nature seemed as troubled as the gloomy blue of the choppy
Pacific. Here in the national park, after hot Amazonian forests and arid Andean
mountains, I could once again walk in a wood. The typical rainy weather on the
island means that certain plants flourish, and although I was enjoying the
silence of a meditative walk, it was a bit disappointing to find that in an
hour I had gone over the entire park... too bad, but there would be plenty of
walking in the next stages of my stay in Patagonia. I found a road leading to
the beach, under a sky that alternated between bright sunlight and huge
worrying clouds, and came across some cows and horses before the vegetation
turned to sand. A line of seashells similar to white mussels stretched out
along the shore; a stiff cool sea breeze blew, like on English beaches; flocks
of seagulls wheeled and turned on the wind, and I was completely alone on a
long deserted beach: an intense feeling of freedom!
On the way back I took the road that went through the
peaceful fishing village of Cucao and flanked a lake. I admired the typical
wooden houses and saw long stretches of green fields with their sheep farms.
There was no sign of any vehicle, so I took up a position near the main
junction and waited. After a quarter of an hour, I got a lift from a farmer on
his way home after loading his van with wood. He dropped me off at the roadside
thirty kilometres further on, from where I took a bus to the islet of Achao.
There, as suggested to me by a Chilean I had met in Valparaiso, I went on foot
through the peaceful, semi-deserted streets. At a supermarket I bought lunch to
take to the beach: bread, an avocado, spring onions and cheese. Refuge from the
wind was in a wooden hut at the start of a wooden pathway to the beach. From
here I could see packs of stray dogs, fishing boats coming back into harbour
and lovers strolling on the shore. Further on, I came across three fifty-year
olds who were in a sorry state and completely drunk. They wanted to strike up a
conversation and offered me wine. I turned down the offer, but took a beer out
of my rucsac so that I could toast them. If I had expected a conversation, I
was mistaken: they were too drunk for that, so I gave up and said goodbye. In
the main square of the village, with only more stray dogs for company, I saw a
fascinating wooden church. Inside, it was amazing, and when a Chilean woman,
amused by my interest, asked whether I liked it, I could only say yes, that I
had not seen such a large church made all of wood before – and in the past year
I had seen several.
Another busride took me back towards Castro, the chief town of the
region, and my accommodation in the ‘alternative’ cultural and artistic hostel.
On the last block on the way there, a street vendor was selling nalca: edible
flowering plants, typical of the region, belonging to the Gunneraceae family. I
tried it – the taste was a little sour, like vinegar, but otherwise pleasant.
At the entrance to the hostel stood Marcelo, who gave me a tired greeting then
suggested we first sink a bottle of good red wine, then go to the book fair.
There we would hear the presentation of a book by a sociologist lady friend of
his on the problems relating to violence against women on the island. It turns
out that Chiloé Island has the highest level of violence against women in the
entire country, especially in rural areas, where the typical male chauvinism of
the country, and the continent, takes the most aggressive forms. A fact which on
a remote and gloomy Patagonian island does not surprise me.
L'isola di Chiloè è da anni nei miei sogni di viaggiatrice, probabilmente da quando ho letto Coloane...
RispondiEliminaSuerte
spettacolare, questo blog è veramente bello, complimenti
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