Terraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa ! Sud
Americaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa !!
Dopo 22 giorni di traversata dell’ Oceano Pacifico ecco
materializzarsi la costa colombiana davanti ai miei occhi gonfi di gioia. Nei
giorni scorsi ho pure avuto occasione di gustare un antipasto messicano in due
losche cittadine portuali mentre la nave era impegnata a scaricare dei
container. Ma ora finalmente, dopo 3 settimane di immobilismo, si torna a
riassaporare la strada per conoscere una nuova calorosa cultura che con la sua
romantica lingua spagnola mi farà sentire a casa. Dopo i limiti linguistici
sorti in Cina e Corea del Sud è meraviglioso poter tornare a comunicare con la
gente locale con tanta facilità, mi permette di godere di un contatto culturale
più profondo.
Ringrazio il mare per i stupendi panorami con cui mi ha
deliziato, ma soprattutto per avermi ricaricato a mille con tutta la sua
strabiliante energia, e sbarco nel principale porto della costa pacifica
colombiana: Buenaventura. Il nome ideale con cui iniziare l’esperienza
sudamericana anche se ho ricevuto delle informazioni davvero inquietanti
dall’equipaggio del mercantile. La città è considerata uno dei luoghi più
pericolosi del mondo con un tasso di criminalità superiore a città come New
York, Kabul e Baghdad. Per via della sua favorevole posizione sul Pacifico e
vicinanza alla città di Cali, principale cartello della droga colombiano, è il
porto del narcotraffico, da cui partono le barche dirette in Messico, e del
traffico d’armi colombiano dove avvengono scontri tra le FARC (forze armate
rivoluzionarie colombiane) , i paramilitari, che controllano il porto, e i
militari. Inoltre si possono assumere killer per soli 13 euro. Un rassicurante
biglietto da visita, ma informazioni provenienti da wikipedia che lasciano il tempo
che trovano.
Ho appuntamento con l’agente portuale di primo mattino per
sbrigare la questione del visto. Lo vedo arrivare un’ora in ritardo per dirmi
che si fa tutto solo dopo pranzo ma se
voglio posso uscire con un permesso provvisorio per rientrare tra qualche ora.
Naturalmente decido di andare in città alla ricerca di un ostello dove
alloggiare stanotte. Esco dalla nave e mi trovo a camminare spaesato tra
colossali gru meccaniche che muovono grossi container sopra la mia testa.
Chiedo ad un operaio dove si trova l’uscita e mi indica una strada da
proseguire dove trovare un autobus che fa il giro del porto. Conosco altri due
operai sul mezzo interessati ai miei tatuaggi, uno mi racconta di essere un
tatuatore come secondo lavoro. Arrivato a destinazione scendo e affronto i
controlli per l’uscita.
Esco e vengo travolto da un impatto molto forte che aumenta il
mio spaesamento. Provato dal calore torrido della città, situata a soli 4 gradi
sopra l’equatore, osservo il caos attorno a me. Sopra la testa si sviluppa una
ragnatela di cavi elettrici cadenti. Le strade sono sporche e piene di buche
trafficate da pulmini che fanno da taxi collettivi, i marciapiedi sgretolati
occupati da commercianti con bancarelle di legno coperti dal sole con la
lamiera ondulata. Gli edifici sono fatiscenti con le mura scure e trasandate.
Infine i colombiani, uomini grossi e forti, le donne formose e alcune
bellissime. Viaggiare via terra in Asia mi permetteva di evitare impatti del
genere perchè viaggiavo tra paesi confinanti molto simili tra loro. Ora il
passaggio è dall’Asia al Sud America, dalla Corea alla Colombia, dalla
popolazione coreana chiusa, minuta, silenziosa e precisa alla popolazione
colombiana aperta, robusta, caotica e disordinata. Da un opposto all’altro e
dopo 3 settimane immerso nel silenzio del mare e della mia cabina devo adattarmi
a questa nuova realtà. Buenaventura sembra all’altezza della sua losca fama.
In tutti questi pensieri mi ritrovo con un omone colombiano
calvo sulla quarantina con la faccia grassa e allegra, di nome Omar, che dal
nulla ha mandato via gli altri due operai e ha deciso di accompagnarmi alla
ricerca di un posto dove dormire. Non ho altra scelta che seguirlo perché in
ogni caso sono senza guida e senza un indirizzo dove andare e lui mi pare solo
uno alla ricerca di una mancia. Se voglio viaggiare da solo in questo paese mi
devo liberare della diffidenza che il 90% della gente, che mi ha parlato della
Colombia, ha cercato di trasmettermi. Omar mi racconta che ha vissuto dodici
anni a New York e che era il responsabile della raccolta rifiuti di Brooklyn. Grazie
a lui riesco a prelevare pesos, a trovare un ostello ma niente da fare per una
sim colombiana perché il mio modesto cellulare non funziona. Fortunatamente la
stazione del pullman è vicina così mi informo sulle rotte verso nord. Sono
diretto a Santa Marta dove ho un contatto locale, tramite un amica di origini
colombiane, che sicuramente mi può dare due utili dritte sul suo paese. Dista
due giorni di viaggio così sto pensando ad uno stop e il più probabile sembra
Medellin.
Land ho!
South Americaaa!
After
twenty-two days crossing the Pacific Ocean, Colombian ground appeared before my
happy eyes. In the past few days I had the chance to eat Mexican hors d’oeuvres in two
unsavoury-looking ports while the ship was busy unloading containers. Now at
last, after three weeks of idleness, I can get back on the road and discover a
new warm-hearted culture, which with its romantic Spanish language will make me
feel at home. After the linguistic barriers in China and South Korea it’s great
to be able to communicate so easily with the locals and to enjoy their culture
more in depth.
I thanked
the ocean for its beautiful views and for recharging me with its energy, then I
landed in the Colombian’s main port on the Pacific coast: Buenaventura. The
ideal name to start my South American adventure even though I received some
alarming news from the ship crew: the city is considered one of the most
dangerous places in the world, with a criminality rate higher than that of
cities such as New York, Kabul and Baghdad. Because of its good positition on
the Ocean and its proximity to the city of Cali (main drug cartel in Colombia),
Buenaventura is the port for drug smugglers heading to Mexico and for
gunrunners. Here there are skirmishes between the military and the FARC (
Colombian Revolutionary Armed Forces), the paramilitaries who control the port.
Here you can also hire killers for just 13 Euros. A very reassuring visiting
card, yet this information is from wikipedia and only relatively reliable.
I had a
meeting with the port officer early in the morning to sort out the visa. He
arrived one hour late and told me that everything would be delayed until after
lunch but I could leave the port with a temporary permit and come back in a few
hours, so I went into town to look for a place to spend the night. Once I got
off the ship I walked around disoriented with massive cranes moving containers
over my head. I asked a worker for the exit and he pointed down a road where I
would find a bus that goes around the port. I then met another two workers who
were interested in my tattoos and one of them told me he also works as a tattoo
artist. When I reached my destitation I got off and walked through the
checkpoint.
Then impact
with the new reality was strong and this increased my feeling of
disorientation. I was also tried by the heat of the city that lies very close
to the equator. Above my head there were chaotic webs of metal cables; the
roads were dirty, uneven and busy with buses; the crumbled pavements were
occupied by merchants’ wooden stalls with roofs of metal sheeting; the
buildings were run-down with dark and shabby walls. Last, but not least, the
Colombians: big strong men and well-shaped women - some beautiful. Travelling overland in Asia I did not have this kind of sudden impact because I
was travelling gradually between countries which were fairly similar. But now I
had moved from Asia to South America, from South Korea to Colombia, from
reserved, small, silent and precise Korean people to the outgoing, robust and
chaotic Colombians. From one opposite to another, indeed, and after three weeks
at sea I have to adapt to this new reality. Buenaventura seems to live up to its notorious reputation.
While
thinking all of this I found myself with Omar, a big bald Colombian in his
forties with a fat, happy-looking face, who sent the other two workers away and
decided to help me find a place to stay for the night. I had no choice but to
follow him because I had neither a guidebook nor an address to go to. Besides,
this man only seemed after a tip. If I want to travel alone in this country I
have to get rid of the mistrust I have picked up from 90% of the people I
talked to about Colombia. Omar told me that he’d lived in New york for twelve
years and had been in charge of rubbish collection in Brooklyn. With his help I
managed to withdraw pesos and find a hostel but didn’t have any luck in getting
a Colombian SIM card because my basic phone doesn’t work. The bus stop wasn’t
far so I looked for information as to which buses go north. I’m heading to
Santa Marta where I have a local contact given by a friend with Colombian
origins. This contact can surely give me some useful advice about the country.
Since the destination is two days’ drive away, I’m thinking of stopping
somewhere along the road, probably in Medellin.