Alle 6 del mattino arrivo nel polveroso piazzale dei bus di
Mocoa, capoluogo della regione del Putumayo che confina con l’Amazzonia
colombiana ed è considerata parte di essa. Assieme ad una simpatica infermiera
colombiana, conosciuta durante il trekking alla città perduta, sto raggiungendo
la casa di due taita (sciamani) locali, in una zona fuori dagli itinerari
turistici, per partecipare ad antiche cerimonie tradizionali nella cultura
indigena. In Sud America si sono sviluppati centri per turisti dove provare
questa esperienza con finti sciamani a costi elevati per cui bisogna cercare
con cura i posti autentici facendosi aiutare da contatti locali.
La città è circondata dalla foresta pluviale ed è
attraversata da diversi fiumi in piena per l’abbondante pioggia caduta nei
giorni scorsi. La casa dei taita è situata su una collina al fondo di una
strada sterrata che si estende dall’ultimo ponte di Mocoa ed è una grande
baracca ombreggiata da alcuni alberi con pavimento in terra battuta, mura di
legno e tetto in lamiera ondulata. All’arrivo incontriamo la moglie di uno di
loro, una sorridente contadina sulla cinquantina d’anni segnata fisicamente da
una vita di duro lavoro, e le sue figlie a cui consegnamo del cibo in offerta.
Gentilmente ci indicano la stanza degli ospiti, che poi si rivelerà anche per
quella delle cerimonie, dove si trovano alcune comodissime amache. In attesa
che arrivino gli uomini di casa, le figlie ci accompagnano lungo un largo
torrente dove poterci bagnare, nonostante la corrente piuttosto intensa, con
acqua fresca e rigenerante.
Poco dopo pranzo, mentre passeggiavo nel terreno attorno
alla baracca tra galline e cani, noto due anziani bassi, mulatti e carismatici
venirmi incontro, uno con difficoltà perché porta le stampelle. Mi salutano
amichevolmente e si presentano come taita Juan e taita Amable, sono i due
fratelli guaritori e sciamani locali. Ci conosciamo e intraprendiamo i primi
lunghi discorsi di preparazione per la cerimonia di questa notte. Consiste nel
bere un preparato a base di erbe, solitamente chiamato “yagè” o “ayahuasca”, ma
da loro “ambihuasca” perché ritengono ambi (rimedio o cura) più rispettosto di
aya (amaro). Questa bevanda ha un potere straordinario, utilizzato da millenni
per curare lo spirito e il corpo delle persone perché, oltre ad agire sulla
mente enfatizzando all’estremo i propri stati della coscienza, ha anche la
funzione di purga e causa vomito e dissenteria. Considerato un potente
allucinogeno dalla scienza moderna, per i suoi nativi è una finestra su
un’altra dimensione che ti dona una nuova prospettiva su te stesso e sulla vita
o un contatto diretto con Dio. Ti porta anche a raggiungere meandri del tuo
inconscio da te dimenticati o ad affrontare gli spiriti maligni che ti
tormentano per cui potrebbe rivelarsi un viaggio piacevole o no in base alla
purezza dello spirito della persona.
Nelle lunghe ore di attesa pomeridiane osservo i due
guaritori prestare servizi a vari abitanti del villaggio che vengono in questa
casa per cercare rimedi alternativi alla medicina moderna. Una signora, ha un’
occhio gonfio e non ci vede più bene da un mese, prova a farsi curare secondo
un rito a base di erbe. Un muratore, di una cittadina nelle vicinanze, viene a
chiedere aiuto per sua figlia di sedici anni che ha dei bruschi squilibri
comportamentali. Altri si aggiungono per la cerimonia di yagè. Tra una cura e
l’altra taita Juan suona la chitarra e canta alcune melodie indigene che ci
seguiranno durante la cerimonia per guidarci positivamente. Si ascoltano alcune
esperienze, tra cui la prima volta dei taita a 5 anni attraverso i genitori.
Queste persone bevono la bevanda da più di 60 anni e mostrano un integrità
mentale impressionante. Intanto il gruppo raggiunge un numero di una decina di
persone tra cui tutti colombiani ed io nominato “el extranjero” (lo straniero).
Li diverte avere uno straniero tra loro, sono stati rari gli europei – circa
quattro - che sono passati da questa casa, nonostante i decenni di cure, e la
loro curiosità mi mette spesso al centro dell’attenzione. In ogni caso si
avverte una contagiosa allegria nel gruppo in attesa della grande esperienza.
Io sono eccitatissimo, 7 anni che aspetto questo evento da quando venni a
sapere per la prima volta della cerimonia attraverso un amico. Feci alcune
ricerche e dai racconti strabilianti dei giornalisti che la provarono mi
promisi che prima o poi l’avrei provata percependo distintantamente negli anni
la forte attrazione che mi ha guidato fin qua. Ora i casi sono due, o si
rivelerà per un enorme bufala o sarà un’esperienza straordinaria.
Finalmente si fa notte, il corpo riposa e quindi lo spirito
è pronto alla nuova esperienza. Inoltre il buio alimenta gli spiriti maligni e
ci permetterà più facilmente di incontrarli e affrontarli. Taita Juan, dopo
aver indossato corona a piume e vestito bianco da cerimonia, apre una tanica di
benzina con all’interno un liquido violaceo già preparato, il yagè. Tocca prima
agli uomini che uno ad uno beviamo in una tazzina da caffè, naturalmente io
inizio per primo. Per mandare giù il liquido senza vomitarlo ci aiutiamo con
una fetta d’arancia dopo aver bevuto. Il sapore è disgustoso e sento già lo
stomaco che si contorce ma l’arancia mi salva in tempo. Beviamo tutti, si
accendono alcune candele e dopo un quarto d’ora si spegne la luce. Ancora
qualche minuto di attesa e concentrazione poi la bevanda miracolosa inizia ad
agire. Inizio piano piano a sentirmi stordito e a vedere le ombre delle persone
sempre più offuscate come fossero infuocate. Mentre cerco di gestire la nausea
chiudo gli occhi inizio a vedere alcune forme geometriche colorate che si
alternano in movimenti a scatti sempre più veloci. Qualcuno inizia a vomitare
dandomi fastidio, un altro parla, poi si sdraia per terra e anche lui mi
innervosisce. Cerco di allontanarmi dalle persone per concentrarmi nella mia
esperienza. Continuo ad osservare le visioni dentro ai miei occhi finchè
all’improvviso prendo un secchiello vicino ai miei piedi e vomito
repentinamente. Quando termino entro in uno stato di piacere immenso, raggiungo
una felicità e allegria estrema. Decido di rifugiarmi nell’amaca mentre i taita
si alternano a suonare e cantare. Quando c’è la musica, volo verso confini
umani inimmaginabili travolto da questa sensazione di misticismo e allegria
avvertendo una travolgente voglia di danzare ma limitandomi a farlo con le
mani. Quando la musica si ferma mi sento smarrito, ma il taita avvertendo il
mio stato d’animo non mi abbandona troppo tempo senza musica. In ogni caso il
canto del gallo, l’abbaiare dei cani e il rimbombo della violenta pioggia sul
tetto a lamiera rendono l’atmosfera di questa stanza energica e travolgente.
All’improvviso avverto nuove fitte di mal di pancia e corro
al bagno. Torno nella stanza e trovo la luce accesa. Tutto ciò mi spiazza completamente
e mentre alcuni cercano di parlarmi io sorrido ma in questo momento non sono
nella loro dimensione e non posso comunicare anche se capisco cosa mi stanno
dicendo. Mi ritiro sull’amaca e molto lentamente ritorno alla realtà. Si
rispegne la luce e, insonne, inizio un lungo dialogo con il taita che mi
deliziava con la sua musica. Tra una risata e l’altra si parla dell’esperienza
che ho avuto. Fortunatamente tornando alla realtà anche il mio corpo si
riprende velocemente. Il gruppo si è riunito con un allegria contagiosa e
racconta le sue esperienze senza vergogna o inibizioni ma con delle grasse e
sane risate.
Riposo il secondo giorno ascoltando i tanti racconti
interessanti dei taita e imparando sempre più sulla loro particolare cultura
assistendo al via vai dei pazienti del villaggio. Con una saggezza e semplicità
disarmante mi trasmettono la loro sapienza formata nell’unica università in cui
tutti dovremmo studiare, l’università della foresta. I taita mi offrono di
insegnarmi tutto ciò che sanno nel caso decidessi di trasferirmi da loro.
Intanto, riprendendomi completamente dalla prima cerimonia, decido di
partecipare ad un'altra perché si dice che con l’esperienza si raggiungano
livelli più alti.
Sicuro di me, la notte del terzo giorno, mi appresto a bere
di nuovo per primo in un altro gruppo di cinque persone. Il gusto sempre più
nauseante, mi siedo su una sedia a aspetto la nuova esperienza. Stavolta ci
mette un po’ più del solito ad agire ma la nottata parte subito con il piede
sbagliato. La mia vicina scoppia in un sorriso continuo che, anche se
all’inizio risultava divertente, ad un certo punto trovo insopportabile. In
quel momento vengo proiettato brutalmente in un'altra dimensione con visioni
potentissime e colorate ma talmente rapide che vengo travolto da quella energia
sentendomi come sulle montagne russe, vomitando, ansimando e cadendo dalla
sedia, poi il vuoto. Dopo probabilmente qualche ora, a detta dei compagni di
stanza, inizio a tornare nel mondo reale trovandomi sdraiato per terra con
polvere dappertutto. All’alba del quarto giorno, molto lentamente, mi riprendo
sempre meglio e scoppio in una felicità improvvisa, come se fossi uscito da un
tunnel. Vengo a sapere dagli altri che mi sono dimenato nella terra lottando
contro qualcosa, calci e pugni. Ho lanciato una sedia e a quel punto si sono
tutti allontanati lasciandomi nel mio delirio. Probabilmente ho affrontato uno
spirito maligno. In ogni caso questa si rivela l’ultima cerimonia perchè
fisicamente è devastante.
Verso sera accompagno la mia amica al terminal dei pullman
diretta verso Bogotà e scopriamo , come si temeva, che la strada è
completamente bloccata per le proteste degli indigeni nella valle del Cauca.
Come già ho raccontato nel post precedente, questa è una regione caratterizzata
dalla guerriglia, dalla presenza delle Farc e del narcotraffico, una zona in
cui l’esercito ha deciso di intervenire con una massiccia militarizzazione
provocando la reazione decisa degli indigeni che non ne possono più e vogliono
la pace. Questi ultimi pochi giorni fa hanno smantellato una base militare.
Rimango pure io momentaneamente senza possibilità di scelta perché pure la
strada principale verso l’Ecuador è chiusa. Tornato a casa dei taita vengo a
sapere che esiste una frontiera secondaria da raggiungere tramite una strada
sterrata nella foresta.
At six o’ clock in the morning I arrived at the
dusty bus station of Mocoa, the capital of the Putumayo region, which borders
on Colombian Amazonia and is considered part of it. I was heading for the home
of two local Taita (shamans) with a friendly Colombian nurse that I met on the
trek to the “Lost City”, to participate in ancient traditional ceremonies of
the indigenous culture. In South America, many centres with fake shamans have
sprung up, charging tourists high prices, so the authentic places have to be
sought with care with help from local contacts.
The city is surrounded by the rainforest and
crossed by many rivers in flood because of the rain of the past few days. The
taita’s home - a big shack shaded by trees, with an earthen floor, wooden walls
and a roof of corrugated iron - is on top of a hill, at the end of a dirt road
leading from the last bridge of Mocoa. When we arrived we met one of their
wives, a smiling farmer about fifty years old with the physical signs of a life
of hard work, and her daughters, to whom we gave some food as an offering. They
kindly indicated to us the guest room, which turned out to be the room used for
ceremonies, where some very comfortable hammocks awaited us. While we waited
for the men to return home, the daughters took us along a wide stream where,
although the current was strong, we could have a refreshing dip in the cool
water.
Shortly after lunch, while I was walking around
the shack between hens and dogs, two old dark-haired charismatic old men came
towards me, one of them with some difficulty as he was on crutches. They
greeted us in a friendly manner and introduced themselves as taita Juan and
taita Amable, two brothers and also the local healers and shamans. We made our
acquaintances and then the speeches to prepare us for that night’s ceremony
started. This consisted in drinking a herb-based drink, usually called “yagè”
or “ayahuasca” while the two shamans called it “ambihuasca” because the word
“ambi”, meaning “remedy” or “cure”, is more respectful than “aya”, which means
“bitter”. This drink is very powerful and has been used for centuries to cure
the spirit and the body - apart from acting on the mind by pushing consciousness
to the limit, it also has a cleansing effect, causing vomiting and diarrhoea.
Modern science considers it a powerful hallucinogen but for the indigenous
people it’s the door to another dimension, giving you a new perspective on
yourself or on life and also direct contact with God. While this can lead you
to explore forgotten areas of unconsciousness, it can also bring you face to
face with any evil spirits tormenting you, so whether the experience turns out
to be pleasant or not depends on your purity of spirit.
During the afternoon’s long wait I watched the
two healers offer their services to the various villagers who had come to seek
remedies different from those of modern medicine. A woman with a swollen eye
through which she hadn’t been able to see properly for a month tried being
cured with a herb-based ritual. A builder from a nearby town came to ask for
help for his sixteen year-old daughter with abrupt changes in behaviour. Others
joined for the yagè ceremony. Taita Juan played the guitar and sang indigenous
melodies all through the ceremony to give us positive guidance. We listened to
people’s experiences, including the taitas talking about their first time,
through their parents, when the two taitas were five years old. These people
have been drinking the beverage for over sixty years and all show an impressive
mental integrity. In the meantime, more people joined the group until there
were about ten of us, all Colombians except for me, “el extranjero” (the
foreigner) as they called me. They were amused by the fact of having a
foreigner among them, only four Europeans had stopped there in decades and
their curiosity often meant I was the centre of attention. Anyhow, happiness
was in the air as the group waited for this great experience. I was very
excited, I had been waiting for that moment for seven years, since I first
heard about it from a friend. I had done some research and after reading what
some journalist who tried it said, I promised I would try it one day and the
strong attraction I clearly felt in the following years had ended up guiding me
this far. At this point, two things could happen: it would either turn out to
be an enormous farce or an extraordinary experience.
Night finally came, which is when the body
rests and the spirit is ready for the new experience. Darkness also fosters
evil spirits, making it easier to meet and face them. Taita Juan put on his
feathered crown and white cerimonial dress and opened a petrol tank containing
a purple liquid, the yagè, which had been prepared before. The men were the
first to drink, one at a time, from a coffee cup and of course I was the first
to do it. After drinking the liquid we ate a slice of orange in order not to
vomit. The taste was indeed disgusting and I felt my stomach rebelling, but the
orange saved me in time. Everybody drank, some candles were lit and fifteen
minutes later the light was turned off. After just a few more minutes of
waiting and concentrating, the drink started taking effect. I slowly started to
feel dazed and the shadows of those around me became more and more blurred, as
if they were on fire. While struggling against nausea, I closed my eyes and
started seeing alternating geometrical shapes darting around faster and faster.
Someone started vomiting, someone else started talking, another person lay down
– these things annoyed me, so I moved away to concentrate on my experience. I
continued to focus on the visions in my eyes until I suddenly grabbed a bucket
and vomited. When I had finished I entered a state of great pleasure, feeling
extremely happy. I decided to lie on the hammock while the two taitas took
turns singing and playing the guitar. The music took me to unimaginable limits,
overwhelming me with a sensation of mysticism and happiness and an
irrepressible wish to dance – but I limited myself to letting my hands do the
dancing. When the music stopped I felt lost,
but the taita noticed my state of mind and started playing again. The cock
crowing, the dogs barking and the rain rattling on the metal roof charged the
atmosphere in the room with an overwhelming energy.
All of a sudden, I felt a stabbing pain in my
stomach and ran to the toilet. When I got back to the room and found that the
light was now switched on, I was caught off guard. Some people tried talking to
me and even though I smiled I couldn’t communicate with them nor understand
what they were saying because I was not in their dimension. I went back to the
hammock and very slowly came back to reality. The light was switched off again
but I couldn’t fall asleep so I started a long conversation with the taita who
had been delighting me with music. Between one laugh and another we talked
about the experience I had had. Luckily, as I came back to reality even my body
was quickly recovering. The group then gathered together with a contagious
happiness and discussed the experience without any shame or inhibition, indeed,
laughing long and loud while doing so.
The second day I rested and listened to the
many interesting stories the taitas told us, learning more about their culture
by watching the coming and going of patients from the village. With wisdom and
simplicity they passed on their knowledge which comes from the only university
everybody should attend: the university of the forest. The taitas offered to teach
me everything they knew if I decided to move to their place. Meanwhile, after
fully recovering from the first ceremony, I decided to participate in a second
one because they say that with experience higher levels can be reached.
So, feeling very self confident, on the third
night, in a group of five I was once again the first to drink. The taste was
even more nauseating, I sat on a chair and waited for this new experience. This
time the effect took longer to take effect and the night didn’t start well: the
girl sitting next to me just couldn’t stop giggling and even though this was
funny at the beginning, after a while it became unbearable. At that very moment
I was thrown into another dimension with extremely powerful, colourful and
fast-changing visions, so intense that I felt as if I was on a rollercoaster: I
vomited, panted, fell off the floor and then... darkness. After a few hours –
according to the others in the room – I started coming back to reality and
found myself lying on the ground covered in dust. On the fourth day at dawn, I
slowly started feeling better and better and felt very happy, as if I was
coming out of a tunnel. The others told me that I tossed and turned as if
fighting against something, kicking and punching. I also threw a chair and at
that point they all backed away from me and left me to my delirium. I was
probably fighting against some evil spirit. Anyway this was my last ceremony
because it had been phsycally devastating.
In the evening I went with my friend to the
terminal for buses heading to Bogotà and found out, as we had feared, that the
road was completely blocked by the indigenous people of the Cauca valley who
were protesting. As I wrote in the previous post, this region is has guerrilla
warfare, the FARC and drug dealing. This area was heavily militarized causing
the locals’ strong reaction because they’ve had enough of the situation and
want peace. In the last few days they took a military base to pieces. I was
left with no choice because even the main road to Ecuador was off limits. I
went back to the taitas’ house where I learned that the border could be reached
by another dirt road through the forest.